Lo abbiamo intervistato mentre prepara la cena a casa sua:
È ormai diventato famoso nello sport come “l’uomo della mente”, c’è lui dietro la preparazione mentale di tutti i migliori atleti under (e non solo) del nostro tempo. Il Dott. Luca de Rose Psicologo e Psicoterapeuta con una specializzazione specifica in psicologia dello sport si racconta al microfono di Spazio Tennis.
Spazio Tennis: “Buonasera Luca”
Luca: “Ciao ragazzi e benvenuti in casa mia.”
Spazio Tennis: “Posso chiamarti Mental Coach ?”
Luca: “Beh come diceva sempre un mio amico….puoi chiamarmi come vuoi…basta che non mi chiami presto la mattina. Scherzi a parte, non è un termine che amo particolarmente.”
Spazio Tennis: “Come mai ?”
Luca: “Il Coaching è una parte della Psicoterapia, ed una forma di sostegno psicologico che rientra appunto nella disciplina scientifica della Psicologia. Chiamandomi Mantal Coach è come se chiedi ad un giocatore di tennis di giocare solo di diritto, mentre lui dispone di tutti i colpi, il Mental Coaching rientra nelle competenze di noi psicologi e psicoterapeuti, un vero psicologo non si farebbe mai chiamare cosi.”
S.T.: “Puoi spiegarci meglio ?”
L.: “Certo, direi di iniziare dal principio.
Uno psicologo è un professionista con una laurea in psicologia (di 5 anni) tirocinio formativo e esame di stato, con conseguente iscrizione al nostro albo professionale che disciplina e tutela la professione. Successivamente uno psicologo abilitato ed iscritto all’ albo se lo desidera può specializzarsi in psicoterapia (altri 4 anni) per diventare appunto Psicologo e Psicoterapeuta, a questo punto se lo si vuole, esistono una serie di percorsi formativi che propongono le università che si chiamano Master (di primo o di secondo livello) che si possono fare per approfondire ulteriormente, io ne ho fatti sei, di cui 5 in psicologia dello sport ed uno in psicologia infantile e adolescenziale. Ogni master ha un percorso di almeno 1 anno con tirocinio ed esame finale. Durante tutto questo percorso di studi, si studia ANCHE MA NON SOLO, il coaching, è chiaro quindi che questo è una parte del nostro percorso formativo e che sarebbe riduttivo chiamare uno psicologo e Psicoterapeuta….solo mental Coach, ma ci sono abituato perché non tutti conoscono queste differenze e non tutti sanno che un semplice mental coach può non essere uno psicologo.”
S.T.: “In questo caso è corretto parlare di esercizio abusivo della professione ?”
L.: “Si è corretto, in particolare si tratta di esercizio abusivo della professione medica (punibile con il carcere) visto che con la legge Lorenzin, noi Psicologi siamo rientrati nelle professioni sanitarie. Purtroppo esistono agenzie o scuole private che rilasciano “diplomi” di mental coach, alcune anche a buon mercato e alcune anche dopo un corso di una settimana, ma fortunatamente il nostro ordine tutela e disciplina la professione, individuando i casi di esercizio abusivo della professione, in questo devo dire che la nostra presidente, la Dott.ssa Bozzaotra è molto attenta.”
S.T.: “E’ importante quindi che i genitori sappiano la differenza ?”
L.: “Importantissimo, curare la mente dei giovani atleti, significa anche incidere sulla loro personalità (che è in fase di sviluppo e formazione) è chiaro quindi che siamo noi psicologi e psicoterapeuti ad avere la visione più completa della mente umana, in tutti i suoi processi, perché facciamo questo di mestiere. Curare l’atleta significa aver presente anche la persona, il ragazzo o la ragazza che sta dietro l’atleta.”
S.T.: “Che mi dici invece della persona che è dietro il professionista, nel tuo caso ?”
L: “Sono nato e cresciuto a Napoli, in una città che possiede già di per se la capacità di organizzarsi, di arrangiarsi, di far fronte alle sofferenze con un sorriso e ti trasmette per osmosi queste “doti” ma sono cresciuto in una famiglia dove i miei genitori mi hanno sempre fatto praticare sport. La scelta sembrava ovvia, avendo papà ex terza categoria di tennis, ma ho praticato vari sport: Judo, pallacanestro, pallavolo, nuoto, atletica prima di arrivare al tennis in maniera stabile. Nella mia famiglia era ed è impensabile non praticare uno sport, sia per salute fisica ma anche per ciò che lo sport ti può insegnare a livello mentale e caratteriale, in più nella mia famiglia, arrendersi non è mai stata considerata un opzione, quindi anche se con le solite difficoltà di un ragazzino in crescita, ogni pomeriggio mi aspettava la racchetta, naturalmente era mio compito curare anche l’aspetto scolastico e lo studio, cose normali, ma che comportano qualche difficoltà, comunque gestibile con il sostegno della famiglia. Ho giocato a tennis a livello agonistico fino a 16 anni, l’ultimo circolo con il quale sono stato tesserato era il tennis club Napoli, il mio maestro era Massimo Cierro, ma mio padre grande amico del maestro Alberto Sbrescia (che ricordo affettuosamente) spesso mi organizzava lezioni individuali con lui. Ho avuto la fortuna di conoscere tutti i maestri della Campania e gli amici che un tempo giocavano con me, oggi molti sono diventati Maestri….Marco Valletta, Chiara Petrazzuolo, Enrico Fioravante ecc… a 17 anni ho capito che non avrei mai potuto eguagliare la “parete di coppe” di mio padre, che avevamo a casa, quindi coincidendo con i tempi della scelta universitaria; scelsi psicologia…..volevo diventare uno psicologo dello sport, aiutare gli atleti in un aspetto che molti, nella mia epoca tennistica trascuravano.
Avevo le idee molto chiare sin dal primo giorno che misi piede nell’ università, nonostante ciò mi si sono aperte altre strade, la clinica (il lavoro con i pazienti) la Federico II e la scuola dello sport del CONI, i gruppi sportivi delle forze armate che attualmente seguo….ma ogni giorno ho ben chiaro in mente da dove sono partito, cosa sono riuscito a costruire, dove voglio arrivare e cosa devo fare per arrivarci, ed anche cosa e quanto sono disposto a sacrificare per arrivarci.
Come dico sempre a tutti i miei atleti, il problema non è capire cosa vuoi, il problema è capire cosa sei disposto a fare, cosa sei disposto a sacrificare per ottenerlo.
Uso molto lo sport come metafora della vita e viceversa, la consapevolezza che bisogna perdere per vincere, soffrire per imparare a combattere, sacrificare qualcosa per ottenere ciò che in realtà è già tuo…..ma devi andartelo a prendere. Con i miei atleti metto sempre 3 punti di partenza: Sacrificio, Compromesso (perché non siamo nei Marines) e Fiducia, se costruiamo queste tre cose insieme e lavoriamo con queste in mente…..beh il mondo non basta, per contenere ciò che possiamo ottenere.”
S.T.: “Con quanti atleti lavori ?”
L.: “Non li ho mai contati, ma posso dirti che al momento lavoro con 16 federazioni, dove tennis, scherma, pallacanestro e Karate sono le più “stabili” mentre per gli altri svolgo consulenze occasionali.”
S.T.: “Alleni qualche campione del mondo o olimpionico ?”
L.: “Ho il privilegio di seguire nella Scherma, atleti olimpionici o campioni del mondo, mentre nel Tennis a livello under seguo atleti che al momento sono tra i primi 10 del Ranking.”
S.T.: “Cosa è importante per te in un atleta ? A cosa fai caso ?”
L.: “Dipende dall’ atleta, dalla sua storia e dallo sport che pratica, ci sono esercizi specifici di psicologia dello sport per ogni disciplina sportiva. Ma per me la cosa più importante è lo sguardo dell’ atleta, è la prima cosa che guardo sono i suoi occhi mentre colpisce la pallina, mentre combatte sul tatami, mentre mi parla. Dal suo sguardo posso capire alcune cose fondamentali.”
S.T.: “Che cosa intendi per esercizi specifici di psicologia dello sport ?”
L.: “La psicologia si è evoluta sia nella clinica come scienza, sia nello sport. Siamo lontani dagli anni 90 e dalla figura del motivatore/psicologo. Oggi lo psicologo dello sport (quelli che sanno farlo) ha a sua disposizione tecniche pratiche da affiancare all’ allenamento per migliorare i riflessi, l’attenzione, la concentrazione, l’approccio emotivo alla gara, la gestione mentale del match e la visualizzazione dell’ immagine che l’atleta ha di se.”
S.T.: “Cosa ti piace di più del tuo lavoro ?”
L.: “Il rapporto che si crea con i miei atleti, o meglio la relazione di fiducia che loro mi permettono di creare, è un po’ come se hai una barca a vela e all’ improvviso arriva una tempesta, però tu sai che sia il tuo equipaggio, sia la barca stessa, potranno un po’ danneggiarsi ma se rimanete uniti, non c’è tempesta che non puoi superare. Questo è ciò che ci fa resistere, c’è sacrificio, compromesso e fiducia da entrambi le parti.”
S.T.: “Alla fine siete una famiglia ?”
L.: “Alla fine si, il lavoro non si ferma sul campo o sulla pista o sul ring, o sulla pedana, spesso parlo con i miei atleti per consigli o altre cose che non riguardano lo sport, io non ho tutte le risposte e soprattutto non ho tutte le risposte giuste, ma insieme troviamo sempre la soluzione.”
S.T.: “Deve essere bello far parte di una famiglia….sportiva !”
L.: “Ogni giorno è diverso, devi saper trovare l’equilibrio, accettare la sconfitta ed imparare; ed essere felice della vittoria, per crescere sia come atleti che come uomini e donne.”
S.T.: “Ti sei mai trovato in una situazione talmente difficile da non sapere cosa fare o dire ?”
L.: “Certo, moltissime volte, io non sono una specie di “mago” che è in grado di risolvere tutto, ed proprio per questo che però continuo ad esserci, se avessi avuto tutte le soluzioni, oggi non avrei esperienza dell’ errore o della sconfitta e non sarei stato capace di aiutare i miei atleti, l’errore è quello che ci rende umani, che ci rende forti, che ci fa capire la nostra forza….non ho paura di chi ha sempre sbagliato e continua a provarci, ho paura di chi non ha mai sbagliato, di chi non conosce il fallimento, perché non so quanto forte può diventare (e se può diventarlo) in caso di caduta, per cercare di rialzarsi.”
S.T.: “Hai un atleta preferito ? “Arrivano le domande scomode attenzione”
L.: “In effetti mi stai mettendo in seria difficoltà, diciamo che ho alcuni sport con i quali preferisco lavorare di più che con altri e quindi di conseguenza gli atleti in questi sport li preferisco. Tra tutti si, c’è un atleta che preferisco…..ma qui dovrò avvalermi del segreto professionale (e mai come questa volta sono contento di avvalermene)”
S.T.: “Hai allenato anche Federica Sacco vero ?”
L.: “Io e la mia “dolce metà” come lo chiamo scherzando, abbiamo seguito insieme per un periodo Federica Sacco, si. Per “dolce metà” intendo il mitico Antonio Luise con il quale ho girato mezzo mondo accompagnando atleti nel circuito tennis Europe.”
S.T.: “Cosa non ha funzionato ?”
L.: “Si è trattato dell’ inizio, fui chiamato proprio da Lino Sorrentino per curare la parte mentale non solo di Federica ma di tutti i ragazzi del Fire ball, ho lavorato con loro per 1 anno, ma trattandosi dell’ inizio, non avevo ancora tutta l’esperienza che ho adesso, come anche il lavoro che conoscevo e facevo all’ epoca non è paragonabile con tutto quello che posso fare e valutare oggi. Ma non è stato solo questo, spesso come dico sempre, la relazione di fiducia che si crea tra atleta, coach e famiglia è parte essa stessa del percorso di crescita, del lavoro da fare, in quel caso specifico è venuto a mancare il legame relazionale.”
S.T.: “Secondo te cosa manca nel Tennis e nello sport oggi ?”
L.: “Lo sport è un catalizzatore emozionale, l’agonismo racchiude in se l’essenza stessa della vita, la rispecchia, l’esaspera, certe volte e l’arricchisce in altre. Un atleta affronta la sua attività in linea con la propria indole, con il suo modo di essere, la mia figura è quella che aiuta l’atleta ad andare oltre, a testare i suoi limiti e a superarli, rendendosi conto che se può fare questo nello sport, lo può fare anche nella vita. L’anima che pervade lo sport è la stessa che regola il mondo, questo deve essere restituito dalle parole e dall’ insegnamento dei coach, dei Maestri, non solo di sport ma di vita.
Oggi nello sport e quindi anche nel Tennis c’è mancanza di queste figure, non di educatori, ma di accompagnatori alla crescita, persone in grado di sostenerti il giusto, di comprendere l’atleta e prima ancora la persona che c’è dietro. Questo non va ad Inficiare la prestazione, anzi va a migliorarla, se i coach capissero questo, ed imparassero a farlo, otterrebbero una “fede sportiva” incondizionata dai loro atleti, una capacità di crescita e di miglioramento, al di sopra di ogni aspettativa.
Oggi nello sport manca il legame di fede che crea l’atleta con lo sport stesso, il tessuto sportivo, come quello sociale nella vita, lega o separa, rende condivise gioie o delusioni, ma soprattutto crea legami, crea vita. Questi legami si stanno perdendo, in alcuni sport si sono già persi, ma tutto questo può essere salvato dallo psicologo dello sport e dal coach, che insieme possono regalare un esperienza di crescita e di formazione indimenticabile che forgia i caratteri e tempra lo spirito degli uomini e delle donne di domani.”
S.T.: “Bellissima intervista Luca, ti ringraziamo a nome del tennis e dello sport
C’è un messaggio o qualcosa che vuoi dire “Uomo della mente” ?”
L.: “Grazie a voi per aver dato “libertà” alle mie parole, libertà di essere lette e di essere interpretate e pensate.
Stasera il mio pensiero va a tutti i miei atleti, ovunque siano, qualsiasi cosa stiano facendo, vorrei dirgli che sono orgoglioso dell’ impegno e della determinazione che vedo ogni giorno nei loro occhi, dei loro sacrifici e della loro volontà di resistere in questo percorso di crescita personale e sportiva che quotidianamente facciamo insieme. Considero un onore e un privilegio allenare tutti loro e so per certo che qualsiasi cosa diventeranno, sia nello sport che nella vita, sarà stata una grande avventura.”